IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TARANTO 
                           Sezione GIP-GUP 
 
    Il  giudice  per  le   indagini   preliminari   dott.   Francesco
Maccagnano,  visti  gli  atti  del  procedimento  penale  n.  6876/16
R.G.N.R., vista la richiesta di applicazione della pena formulata  ex
art. 444 del codice di procedura penale nell'interesse di M... G... ,
nato a ... il ... ; 
    a scioglimento della riserva assunta all'udienza  del  14  aprile
2021; 
    Osserva quanto segue: 
    1. Nell'ambito del procedimento penale di  cui  in  epigrafe,  e'
stato emesso decreto penale di condanna nei confronti di M... G...  ,
in atti generalizzato, in relazione al delitto di  violenza  privata.
All'imputato si contesta di aver posizionato la  propria  autovettura
in prossimita' dell'ingresso  di  abitazione  delle  persone  offese,
impedendo a costoro «l'accesso e l'uscita dal cancello della  propria
abitazione». 
    Nei confronti del  suddetto  decreto  penale  e'  stata  avanzata
tempestiva opposizione; contestualmente, il M..., il suo difensore ed
il pubblico ministero hanno formulato istanza di  applicazione  della
pena ex art. 444 del codice di procedura penale. 
    1.1. Le parti hanno chiesto applicarsi nei confronti dell'odierno
imputato la  pena  di  6.750,00  euro,  in  sostituzione  della  pena
detentiva da loro stabilita in relazione al delitto di  cui  all'art.
610 del codice penale. 
    Detta sanzione e' stata calcolata come segue: pena  base  pari  a
quattro mesi e quindici giorni di reclusione, diminuita ex art.  444,
comma  1,  del  codice  di  procedura  penale  sino  a  tre  mesi  di
reclusione, convertita nella corrispondente pena pecuniaria  ex  art.
53 della legge  n.  689/1981;  il  valore  giornaliero  attribuito  a
ciascun giorno di reclusione e'  individuato  nella  somma  di  75,00
euro, dunque in misura inferiore al  valore  minimo  di  250,00  euro
previsto dal combinato disposto di cui al comma 2 dell'art. 53  della
legge n. 689/1981 e all'art. 135 del codice penale. 
    1.2. Posto quanto precede,  e  considerato  che  dagli  atti  non
emergono elementi tali da imporre  il  proscioglimento  del  M...  ai
sensi dell'art. 129 del codice di procedura  penale,  deve  rilevarsi
che: 
        l'odierno imputato e' soggetto incensurato; 
        dagli atti  non  risulta  la  riferibilita'  al  predetto  di
carichi pendenti; 
        la  condotta  antigiuridica  di  cui  al  capo  d'imputazione
integra un'ipotesi di «violenza impropria» e, non  sostanziandosi  in
una vera e propria  aggressione  fisica  perpetrata  ai  danni  delle
persone offese, comprova in capo a M... G... una capacita'  criminosa
non elevata e, correlativamente, una scarsa pericolosita' sociale. 
    A lume di quanto appena sottolineato, tenuto conto dei criteri di
cui all'art. 133 del codice penale, la pena detentiva stabilita dalle
parti appare congrua e proporzionata alla personalita' del reo e alla
concreta offensivita' del delitto a questi ascritto; lo  stesso  puo'
dirsi in riferimento alla corrispondente pena pecuniaria di  6.750,00
euro, determinata ai sensi dell'art.  53  della  legge  n.  689/1981,
suscettibile di rateizzazione ex art. 133-ter del codice penale. 
    1.3.Come messo in evidenza supra, le parti,  nel  determinare  la
pena pecuniaria da sostituire a quella detentiva,  hanno  individuato
il valore di ciascun giorno di detenzione nella somma di 75,00 euro -
pari al minimo del range di conversione previsto dall'art. 459, comma
1-bis, del codice di  procedura  penale  -  cosi'  discostandosi  dal
minimo del range di conversione previsto dal secondo comma  dell'art.
53 della legge n. 689/1981, pari alla somma  prevista  dall'art.  135
del codice penale. 
    Deve sottolinearsi che: 
        il range di valori di conversione previsto dall'art. 53 della
legge n. 689/1981 va da 250,00 euro a 2.500,00 euro per  ogni  giorno
di detenzione; 
        astrattamente, la pena detentiva di tre  mesi  di  reclusione
concordata  dalla  difesa  del  M...  e  dal  pubblico  ministero  e'
suscettibile di essere convertita - secondo i criteri previsti  dalla
legislazione vigente - in  una  pena  pecuniaria  determinabile,  nel
minimo, in 22.500,00 euro e, nel massimo, in 225.000,00 euro. 
    1.4.  Risulta   versata   in   atti   documentazione   promanante
dall'Agenzia  delle  entrate,  atta  a   comprovare   le   condizioni
economiche del reo; trattasi di un  riepilogo  dei  principali  «dati
contabili» della dichiarazione dei redditi  presentata  dall'imputato
nel 2020. 
    Orbene: 
        ove la pena detentiva concordata dalle parti fosse convertita
facendo applicazione del valore minimo attualmente previsto dall'art.
53, comma 2, della legge n. 689/1981, nei confronti del M... verrebbe
ad essere disposta la multa di ben 22.500,00 euro,  ossia  una  somma
sostanzialmente pari ai redditi ultimamente percepiti  dall'imputato,
decurtati   dall'imposta   netta   e   dalle   addizionali   previste
dall'ordinamento tributario; 
        come allegato dalla difesa, il M... titolare  di  reddito  di
lavoro  dipendente;  la  rateizzazione  del  pagamento   della   pena
pecuniaria di 22.500,00 euro - sino al numero massimo di trenta  rate
previsto dall'art. 133-ter  del  codice  penale  -  sarebbe  comunque
idonea a compromettere notevolmente la capacita' economica del reo. 
    2. Posto quanto precede, appare opportuno rammentare che  -  come
da ultimo affermato da codesta Corte nella sentenza n. 15/2020  -  lo
strumento della conversione delle c.d. pene detentive brevi  in  pene
pecuniarie costituisce un «prezioso strumento destinato a  evitare  a
chi sia stato ritenuto responsabile di reati di modesta  gravita'  di
scontare pene detentive troppo brevi perche' possa  essere  impostato
un reale percorso trattamentale, ma gia'  sufficienti  a  produrre  i
gravi  effetti  di  lacerazione  del  tessuto  familiare,  sociale  e
lavorativo, che il solo ingresso in carcere solitamente produce».  La
disposizione di cui all'art. 53  della  legge  n.  689/1981,  dunque,
secondo la prospettiva del giudice delle leggi, non prevede una sorta
di «graziosa concessione», bensi' un istituto deputato  a  soddisfare
le esigenze di finalismo rieducativo della  pena  previste  dall'art.
27, comma 3, della Costituzione. 
    3. Per quanto attiene alla specifica vicenda processuale  che  ci
occupa, evidente e' la necessita' di disporre  la  conversione  della
pena detentiva breve  concordata  dalle  parti  in  pena  pecuniaria,
tenuto conto dei dati  personologici  piu'  compiutamente  richiamati
supra (incensuratezza dell'imputato, non riferibilita'  a  questi  di
carichi pendenti, scarsa capacita' criminale e pieno  inserimento  in
un  tessuto  sociale  e  lavorativo  sufficientemente   strutturato):
l'ingresso in carcere del M... , infatti,  per  usare  le  parole  di
codesta Corte, produrrebbe «effetti di lacerazione»  sul  complessivo
tessuto relazionale entro il quale l'imputato. 
    Siffatta lacerazione - che, purtroppo,  nell'architettura  di  un
ramo dell'ordinamento giuridico quale il diritto penale,  anticamente
definito jus terribile, appare inevitabile - non  puo'  che  apparire
inutile nel caso di specie, tenuto conto degli  apprezzabili  effetti
deterrenti che una pena pecuniaria di entita' tutt'altro  che  scarsa
quale quella stabilita dalla difesa e dal pubblico ministero potrebbe
sortire in capo all'odierno imputato. 
    4. Come  gia'  precisato  al  paragrafo  1.4,  laddove  le  parti
avessero fatto applicazione del valore minimo  di  conversione  della
pena detentiva in pena pecuniaria (250,00 euro) attualmente  previsto
dall'art. 53 della legge n. 689/1981, la pena pecuniaria destinata ad
essere disposta nei confronti del M... sarebbe pari a  ben  22.500,00
euro, ossia una somma palesemente sproporzionata  tanto  rispetto  ai
concreti  profili  di  offensivita'  del  delitto  di  cui  al   capo
d'imputazione che alle concrete condizioni economiche del reo. 
    Ed infatti, come anche sottolineato supra: 
        i fatti per cui e' causa non hanno determinato in  capo  alle
odierne  persone  offese  conseguenze  pregiudizievoli  di  carattere
permanente ne' denotano in  capo  all'imputato  un'elevata  capacita'
criminale; 
        la condotta «violenta» ascritta al  M...  si  e'  sostanziata
esclusivamente in una farina basic di violenza impropria,  e  non  in
un'aggressione fisica delle odierne persone offese; 
    Una pena pecuniaria di 22.500,00 euro appare, dunque, palesemente
eccessiva rispetto alla concreta gravita' dei  fatti  e,  dunque,  in
palese contrasto rispetto agli scopi sottesi alla disposizione di cui
all'art. 53, comma 2, della legge n. 689/1981. 
    4.1. La gratuita' della sanzione pecuniaria di cui  sopra  appare
tanto piu' evidente quanto piu' si ponga mente all'idoneita'  di  una
simile pena a  compromettere  la  stabilita'  economica  dell'odierno
imputato, il quale e' percettore di redditi tutt'altro  che  elevati,
suscettibili di essere incisi in misura patologica pur  laddove  egli
dovesse beneficiare della rateizzazione  prevista  dall'art.  133-ter
del codice penale. 
    5. Le problematiche in rilievo nel caso di  specie  impongono  di
rammentare i principi espressi dal giudice delle leggi in materia  di
proporzionalita' della pena al fatto di reato illecito  commesso  dal
reo. 
    5.1. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, l'art.  3
della Costituzione esige che la pena sia proporzionata  al  disvalore
del fatto illecito commesso, in modo  che  il  sistema  sanzionatorio
adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed a  quella  di
tutela delle posizioni individuali (in tal senso, ex plurimis,  Corte
costituzionale n. 236/2016). 
    Come affermato nell'arresto da ultimo richiamato, la  tutela  del
principio di proporzionalita', nel campo del diritto penale,  conduce
a  «negare   legittimita'   alle   incriminazioni   che,   anche   se
presumibilmente  idonee   a   raggiungere   finalita'   statuali   di
prevenzione, producono, attraverso la pena, danni  all'individuo  (ai
suoi  diritti  fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela dei  beni  e  valori  offesi  dalle  predette  incriminazioni»
(sentenze n. 341 del 1994 e n. 409 del 1989). 
    Deve essere ricordato, in questa prospettiva,  anche  l'art.  49,
numero 3), della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea -
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, e che ha ora lo stesso  valore
giuridico dei trattati, in forza dell'art. 6, comma 1,  del  Trattato
sull'Unione europea (TUE), come modificato dal Trattato  di  Lisbona,
firmato il 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con legge  2
agosto 2008 n. 130, ed entrato in vigore il  1°  dicembre  2009  -  a
tenore del quale «le pene inflitte non devono  essere  sproporzionate
rispetto al reato». 
    5.1.1. Il giudice delle leggi ha stabilito, altresi', che  in  un
delicato  settore  dell'ordinamento  quale  il  diritto  penale   «il
principio  di  proporzionalita'  esige  un'articolazione  legale  del
sistema sanzionatorio che renda possibile  l'adeguamento  della  pena
alle effettive responsabilita' personali, svolgendo una  funzione  di
giustizia, e anche di tutela delle posizioni individuali e di  limite
della  potesta'  punitiva  statale,  in   armonia   con   il   "volto
costituzionale" del sistema penale» (sentenza n. 50 del 1980 e n. 236
del 2016). 
    A  cio'  si  aggiunge  che,  alla   luce   dell'art.   27   della
Costituzione, il principio della  finalita'  rieducativa  della  pena
costituisce  «una  delle   qualita'   essenziali   e   generali   che
caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l'accompagnano
da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in
concreto si estingue» (sentenza n. 313 del 1990). 
    Esso, pertanto, non vale per la sola fase esecutiva,  ma  obbliga
tanto il legislatore quanto i giudici della cognizione  (sentenza  n.
313 del 1990). 
    Anche  la  finalita'  rieducativa  della  pena,   nell'illuminare
l'astratta previsione normativa, richiede «un costante  principio  di
proporzione tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte,  e
offesa, dall'altra» (sentenza n. 251 del 2012 e, ancora, sentenza  n.
341 del 1994), mentre la palese  sproporzione  del  sacrificio  della
liberta' personale produce «una vanificazione  del  fine  rieducativo
della pena prescritto dall'art. 27, terzo comma, della  Costituzione,
che di quella liberta'  costituisce  una  garanzia  istituzionale  in
relazione allo stato di detenzione» (sentenza n. 343 del 1993). 
    6. La costellazione di principi appena richiamata impone a questo
giudice di predicare l'irragionevolezza intrinseca del valore  minimo
del criterio di  conversione  delle  pene  detentive  brevi  previsto
dall'art. 53, comma 2, della legge n. 689/1981. 
    Siffatta irragionevolezza, d'altra parte,  e'  stata  di  recente
apertis  verbis  rilevata  proprio  dal  giudice  delle  leggi  nella
sentenza n. 15/2020: con tale pronuncia, codesta Corte,  rispetto  ad
un caso  analogo  a  quello  che  interessa  l'odierno  imputato,  ha
dichiarato  l'inammissibilita'  della   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 135 del codice penale, cosi come  richiamato
dal secondo comma dell'art. 53 della legge n. 689/1981. 
    Appare quantomai indispensabile riportare qui di seguito un ampio
stralcio della sentenza appena evocata: 
        Il problema che fa da sfondo  alle  questioni  sollevate  e',
invero, reale. 
        L'art. 53,  comma  2,  della  legge  n.  689  del  1981,  nel
prevedere la possibilita' di sostituzione della  pena  detentiva  nel
limite dei sei mesi con la pena pecuniaria, stabilisce, tra  l'altro,
che «[p]er determinare l'ammontare della pena pecuniaria  il  giudice
individua il valore giornaliero al  quale  puo'  essere  assoggettato
l'imputato e lo moltiplica per i  giorni  di  pena  detentiva.  Nella
determinazione dell'ammontare di cui al precedente periodo il giudice
tiene conto della condizione economica  complessiva  dell'imputato  e
del suo nucleo familiare.  Il  valore  giornaliero  non  puo'  essere
inferiore alla somma indicata dall'art. 135 del codice penale  e  non
puo' superare di dieci volte tale ammontare». 
        Ora, il tasso di ragguaglio previsto dall'art. 135 del codice
penale - gia' fissato dall'art. 1 della legge 5 ottobre 1993, n.  402
(Modifica dell'art.  135  del  codice  penale:  ragguaglio  fra  pene
pecuniarie e pene detentive), in 75.000 lire per ogni giorno di  pena
detentiva, poi convertite in 38 euro - e' stato innalzato a 250  euro
giornalieri per effetto della legge 15 luglio 2009  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica). Tale aumento ha fatto si'  che  -  in
forza del richiamo all'art. 135 del codice penale contenuto nell'art.
53 della legge n.  689  del  1981,  pacificamente  considerato  quale
rinvio «mobile» - il valore giornaliero minimo della pena  pecuniaria
sostituita alla pena detentiva sia attualmente pari a  250  euro.  Il
risultato e' stato quello  di  rendere  eccessivamente  onerosa,  per
molti condannati, la sostituzione della pena pecuniaria, sol  che  si
pensi che - ad esempio - il minimo legale della  reclusione,  fissato
dall'att. 23 del codice penale in quindici giorni, deve  oggi  essere
sostituito in una multa di almeno 3.750 euro, mentre la  sostituzione
di sei mesi di reclusione (pari al limite massimo entro il quale puo'
operare il meccanismo previsto dall'art. 53, comma 2, della legge  n.
689 del 1981) da' a luogo a una multa non inferiore a 45.000 euro. 
        Cio' ha determinato, nella prassi, una drastica  compressione
del ricorso alla sostituzione della pena  pecuniaria,  che  pure  era
stata concepita dal legislatore del 1981 - in piena sintonia  con  la
logica dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione - come  prezioso
strumento destinato a evitare a chi sia stato  ritenuto  responsabile
di reati di modesta gravita' di scontare pene detentive troppo  brevi
perche' possa essere impostato un reale  percorso  trattamentale,  ma
gia' sufficienti a  produrre  i  gravi  effetti  di  lacerazione  del
tessuto familiare, sociale e lavorativo,  che  il  solo  ingresso  in
carcere  solitamente  produce.  Con   il   conseguente   rischio   di
trasformare la sostituzione della pena pecuniaria  in  un  privilegio
per i soli condannati  abbienti:  cio'  che  appare  di  problematica
compatibilita' con l'art. 3, secondo comma,  della  Costituzione,  il
cui centrale rilievo nella commisurazione della  pena  pecuniaria  e'
stato da tempo sottolineato  dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte
(sentenza n. 131 del 1979). 
        2.2. -  Tuttavia,  le  questioni  oggi  all'esame,  aventi  a
oggetto l'art. 135 del  codice  penale,  sono  viziate  da  aberratio
ictus; vizio che ha carattere assorbente rispetto ai diversi  profili
di inammissibilita' denunciati dall'avvocatura generale dello Stato. 
        Il rimettente e', come rilevato, investito di una istanza  di
patteggiamento, con la quale l'imputato chiede la sostituzione di una
pena detentiva con una pena pecuniaria ai sensi  dell'art.  53  della
legge n. 689 del 1981. 
        Ora, l'art. 53 della legge n. 689 del 1981 fa rinvio all'art.
135 del codice penale, assumendo quale base del calcolo della pena da
sostituire  la  somma  ivi  stabilita  per  ogni  ipotesi  in  cui  -
evidentemente in difetto di altra  piu'  specifica  disciplina  -  si
debba eseguire un ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive. Ma
lo stesso art. 53 della legge n. 689 del 1981 detta per l'appunto una
disciplina speciale  rispetto  a  quella  dell'art.  135  del  codice
penale, stabilendo che la somma indicata in quest'ultima disposizione
- attualmente pari a 250 euro, o  frazione  di  250  euro,  per  ogni
giorno di pena detentiva - possa essere aumentata sino a dieci volte,
tenendo  conto,  nella  determinazione  dell'ammontare   della   pena
pecuniaria, della condizione economica  complessiva  dell'imputato  o
del suo nucleo familiare. 
        Formulando questioni di legittimita' costituzionale aventi  a
oggetto, invece, il solo art. 135 del codice penale, il giudice a quo
da un lato censura una  disposizione  destinata  ad  operare  in  una
pluralita' di ipotesi - dalla conversione  della  pena  detentiva  in
pena pecuniaria nel caso previsto dall'art. 2, comma  3,  del  codice
penale alla determinazione del limite massimo di pena che consente  i
benefici della sospensione condizionale e della  non  menzione  della
condanna ai sensi, rispettivamente, degli articoli 163,  comma  1,  e
175, comma 2, del codice penale - del tutto  distinte  rispetto  alla
sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria,  che  viene  in
considerazione  nel  procedimento  a  quo;  e  dall'altro  omette  di
censurare proprio la disposizione di cui all'art. 53 della  legge  n.
689  del  1981,  che  detta  lo  speciale  criterio   di   ragguaglio
applicabile nel caso concreto. 
        Dal che l'inammissibilita' delle questioni sollevate. 
        3. - Le considerazioni poc'anzi  svolte  inducono,  comunque,
questa Corte a formulare l'auspicio che il legislatore  intervenga  a
porre rimedio alle incongruenze evidenziate (supra, 2.1.), nel quadro
di un complessivo intervento -  la  cui  stringente  opportunita'  e'
stata anche di recente segnalata (sentenza n. 279 del 2019) - volto a
restituire effettivita' alla pena pecuniaria,  anche  attraverso  una
revisione degli attuali, farraginosi meccanismi di esecuzione forzata
e di conversione in pene limitative della liberta' personale. 
        E cio' nella consapevolezza che soltanto una disciplina della
pena pecuniaria in grado di garantirne una  commisurazione  da  parte
del giudice proporzionata tanto alla gravita' del reato  quanto  alle
condizioni  economiche  del  reo,  e  assieme  di   assicurarne   poi
l'effettiva riscossione, puo' costituire una seria  alternativa  allo
pena detentiva, cosi' come di fatto accade in molti altri ordinamenti
contemporanei. 
    7. Questo giudice - in ossequio alle chiare  indicazioni  fornite
da codesta Corte nell'arresto appena richiamato  -  ritiene,  dunque,
rilevante nell'ambito del procedimento penale di cui  in  epigrafe  e
non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale della disposizione di cui all'art. 53, comma 2,  della
legge n. 689/1981, nella parte in cui tale norma prevede un  criterio
minimo di conversione delle pene detentive brevi in  pene  pecuniarie
idoneo, in casi analoghi  a  quello  che  ci  occupa,  a  determinare
trattamenti  sanzionatori  sproporzionati   ed   in   contrasto   con
elementari esigenze di finalismo rieducativo. 
    Siffatto criterio, nel caso  di  specie,  imporrebbe  il  rigetto
della richiesta di applicazione della pena sottoposta  al  vaglio  di
questo G.I.P. 
    8. In ordine ai principi costituzionali che si ritengono violati,
deve affermarsi che: 
        il criterio minimo  di  conversione  previsto  dall'art.  53,
comma 2, della legge n. 689/1981 viola l'art. 3 della Costituzione, e
cio' in quanto crea disparita' di trattamento evidenti  fra  imputati
notevolmente abbienti - in quanto tali, in grado di reggere  «l'urto»
di una pena pecuniaria pur sproporzionata - e imputati che versano in
condizioni economiche maggiormente modeste; 
        come piu' volte sottolineato supra,  il  criterio  minimo  di
conversione previsto dall'art. 53, comma 2, della legge  n.  689/1981
viola l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in  quanto  idoneo,
come nel caso di specie, ad imporre la  determinazione  di  una  pena
pecuniaria sproporzionata rispetto  ai  fatti  addebitabili  al  reo,
minando  «a  monte»  l'imprescindibile  esigenza  di   minimizzazione
dell'inflizione di pene detentive brevi  «gratuite»  ed  «inutilmente
laceranti» e, «a valle», comportando la determinazione di trattamenti
sanzionatori sproporzionati ed intrinsecamente irragionevoli; 
        la disposizione di cui trattasi viola, altresi',  l'art.  117
della Costituzione, e cio' in quanto  l'art.  49,  numero  3),  della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - che  ha  ora  lo
stesso valore giuridico dei trattati, in forza dell'art. 6, comma  1,
del Trattato  sull'Unione  europea  (TUE)  -  prevede  che  «le  pene
inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato». 
    9. Posto quanto precede, questo giudice e' consapevole che - come
condivisibilmente affermato in Corte  costituzionale  n.  236/2016  e
Corte costituzionale n. 23/2016 - la Corte  costituzionale,  per  non
sovrapporre la  propria  discrezionalita'  a  quella  del  Parlamento
rappresentativo, finendo per esercitare un  inammissibile  potere  di
scelta (sentenza n. 22 del 2007)  in  materia  sanzionatoria  penale,
deve condurre le proprie  valutazioni  attraverso  precisi  punti  di
riferimento, gia' rinvenibili nel sistema legislativo. 
    Anche  nel  giudizio  di  «ragionevolezza   intrinseca»   di   un
trattamento  sanzionatorio  penale  incentrato   sul   principio   di
proporzionalita',  infatti,   e'   essenziale   l'individuazione   di
soluzioni gia' esistenti, idonee a eliminare o ridurre  la  manifesta
irragionevolezza lamentata (sentenza n. 23 del 2016). 
    9.1. Orbene, per quanto attiene al caso di specie,  il  controllo
sulla sproporzione manifestamente irragionevole fra  quantita'  della
sanzione pecuniaria minima  prevista  dall'art.  53  della  legge  n.
689/1981,  da  una  parte,  e  gravita'  dell'offesa   e   condizioni
economiche del reo, dall'altra, puo' essere condotto  attraverso  una
«valutazione relazionale» fra la disciplina prevista  dalla  suddetta
disposizione e la norma di cui all'art. 459, comma 1-bis  del  codice
di procedura penale. 
    9.2. La disposizione da ultimo evocata riguarda  il  procedimento
per decreto, e prevede che «nel  caso  di  irrogazione  di  una  pena
pecuniaria in sostituzione di una pena  detentiva,  il  giudice,  per
determinare l'ammontare della pena pecuniaria,  individua  il  valore
giornaliero  al  quale  puo'  essere  assoggettato  l'imputato  e  lo
moltiplica per i giorni di pena detentiva». 
    Il valore giornaliero non puo' essere inferiore  «alla  somma  di
euro 75 di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva e non puo'
superare di tre volte tale ammontare». 
    9.2.1. Non paia ozioso rammentare  che  la  liberta'  e'  diritto
indisponibile  ed  inalienabile:  la  non  configurabilita'   di   un
«mercato» avente ad oggetto un simile diritto,  con  tutta  evidenza,
impedisce di attribuire allo stesso un valore strido sensu economico. 
    L'associazione  di  un  valore  pecuniario  ad   un   giorno   di
detenzione, prevista in plurime  sedi  dell'ordinamento  penale,  e',
dunque,   operazione   che   risponde   a   logiche   e   canoni   di
proporzionalita' sanzionatoria. 
    9.2.2.   Il    legislatore,    nell'esercizio    della    propria
discrezionalita',  ha  ritenuto  che  l'afflizione   correlata   alla
privazione della  liberta'  personale  possa  essere  parificata,  al
minimo, a 75,00 curo di multa. 
    Siffatta «associazione»,  per  i  motivi  esposti  supra,  appare
congrua e consente un'adeguata dosimetria sanzionatoria. 
    9.2.3. Il meccanismo di conversione di cui all'art. 53, comma  2,
della legge n. 689/1981 non e' identico a quella di cui all'art. 459,
comma 1-bis del codice di  procedura  penale,  tenuto  conto  che  il
legislatore ha evidentemente  inteso  prevedere,  nei  confronti  del
destinatario  di  un  decreto  penale  di  condanna,  un  trattamento
sanzionatorio di favore, soprattutto per quanto riguarda  il  massimo
del range di conversione (225,00 euro in luogo del valore  limite  di
2.500,00 euro previsto per la sostituzione di pene detentive brevi in
pene pecuniarie). 
    E' altrettanto vero, tuttavia, che le fattispecie in  parola  non
possono considerarsi del tutto disomogenee, posto che  una  «forbice»
di «valori sanzionatori» - al netto delle  caratteristiche  del  rito
entro il quale essa viene in rilievo - e'  sempre  connaturata  dalla
precipua  funzione  di  consentire   il   miglior   adeguamento   del
trattamento sanzionatorio al fatto di reato  e  alle  caratteristiche
personologiche del reo. 
    Nel caso di specie, e' evidente  la  manifesta  sproporzione  del
minimo del range previsto dall'art.  53,  comma  2,  della  legge  n.
689/1981,  non  giustificata  da   alcuna   esigenza   di   carattere
special-preventivo o general-preventivo; detto minimo,  pertanto,  va
allineato al valore pecuniario minimale che il legislatore ha  inteso
associare ad una «frazione»  di  un  diritto  indisponibile  prezioso
quale quello alla liberta' personale. 
    9.2.4. La natura di favore del criterio di  conversione  previsto
dall'art. 459, comma  1-bis,  del  codice  di  procedura  penale  non
verrebbe  minata  dall'accoglimento  della  questione  di   legittima
costituzionalita' sollevata  in  via  principale  da  questo  G.I.P.,
considerato che la misura massima del valore  pecuniario  giornaliero
associabile ad un giorno di pena detentiva, cosi' come prevista dalla
predetta disposizione, resterebbe  pari  a  225,00  euro,  mentre  la
misura massima dell'analogo valore previsto dall'art.  53,  comma  2,
della legge n.  689/1981,  resterebbe  pari  al  decuplo  del  valore
previsto dall'art. 135 del codice penale, dunque a 2.500,00 euro. 
    9.3. Non pare inopportuno rammentare che la Corte costituzionale,
con la sentenza n. 236/2016, piu' volte  richiamata  supra,  ha  gia'
inteso  comparare,  ai  fini  di  una  declaratoria  di  legittimita'
costituzionale, fattispecie non «identiche» ma  comunque  «non  [...]
del tutto disomogenee» - in tal senso, si  rinvia  al  paragrafo  4.5
dell'arresto appena menzionato. 
    9.3.1. Nel  recente  passato,  inoltre,  codesta  Corte,  con  la
sentenza n. 40/2019, ha gia' inteso procedere alla rimodulazione  del
minimo della «forbice sanzionatoria» caratterizzante  il  delitto  di
cui all'art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica
n. 309/1990, e cio' pur nella dichiarata  assenza  di  una  soluzione
«costituzionalmente obbligata», prendendo apertis  verbis  spunto  da
una norma precedentemente dichiarata incostituzionale. 
    Il giudice delle leggi, con  il  richiamato  arresto,  ha  inteso
adottare  una  soluzione  si'  «non  obbligata»,  ma  comunque   «non
arbitraria»,  ricavabile   da   una   disciplina   gia'   rinvenibile
nell'ordinamento;  analoga  logica,  a  parere  di  questo   giudice,
potrebbe trovare applicazione in ordine al caso che ci  occupa  nella
presente sede. 
    10. In alternativa, questo giudice per  le  indagini  preliminari
chiede a codesta  Corte  di  dichiarare  l'incostituzionalita'  della
disposizione di cui all'art. 53, comma 2,  della  legge  n.  689/1981
nella parte in cui detta disposizione non prevede che il giudice, nel
determinare la pena  pecuniaria  sostitutiva  di  pena  detentiva  di
durata inferiore a sei mesi, non possa fare applicazione del criterio
di  adeguamento  della  pena  pecuniaria  minima  previsto  dall'art.
133-bis, comma 2, del codice penale. 
    Siffatto criterio consentirebbe al giudice, in  casi  analoghi  a
quello oggetto del presente  procedimento  penale,  di  ridurre  pene
pecuniarie disposte in sostituzione  di  pene  detentive  brevi  ictu
oculi economicamente troppo  gravose,  sproporzionate  rispetto  alle
condotte  ascritte  al  reo,  stridenti  rispetto  alle  esigenze  di
finalismo rieducativo e tali da comportare disparita' di  trattamento
fra imputati abbienti e non. 
    10.1. La questione di legittimita'  costituzionale  formulata  in
via subordinata appare rilevante  in  quanto  comunque  destinata  ad
incidere  sul  trattamento  sanzionatorio  suscettibile   di   essere
irrogato  nei  confronti   dell'imputato   all'esito   del   presente
procedimento ove la questione di legittimita' costituzionale  venisse
ritenuta da codesta Corte non fondata e,  dunque,  il  patteggiamento
cosi' come  formulato  dalle  parti  fosse  destinato  a  non  essere
accolto. 
    11. Da ultimo, va ricordato che il giudice delle  leggi,  «quando
per riparare al  vulnus  costituzionale  non  soccorra  lo  strumento
demolitorio, la Corte  costituzionale  non  puo'  autonomamente  e  a
propria discrezione decidere», ma «in mancanza di un  intervento  del
legislatore,  la  Corte  [e']  pero'  successivamente   obbligata   a
intervenire, non mai in malam partem,  e  comunque  nei  limiti  gia'
tracciati  dalla   sua   giurisprudenza»   (in   tal   senso,   Corte
costituzionale n. 179/2017). 
    Orbene,   nel   caso   di   specie   l'intervento   della   Corte
costituzionale s'impone in virtu' del fatto che  la  disposizione  di
cui all'art. 53, comma 2, della legge  n.  689/1981,  successivamente
alla soprarichiamata sentenza monito n. 15/2020, non e' stato  ancora
modificato. 
    Per  usare  le  parole  di  un'altra   sentenza   monito   (Corte
costituzionale n. 207/2017) devono,  dunque,  prevenirsi  trattamenti
sanzionatori «generalmente avvertiti come iniqui», e cio' al  fine  -
come apertis verbis affermato in Corte costituzionale n. 15/2020 - di
«evitare a chi sia stato ritenuto responsabile di  reati  di  modesta
gravita' di scontare pene detentive troppo brevi perche' possa essere
impostato un reale percorso  trattamentale,  ma  gia'  sufficienti  a
produrre i  gravi  effetti  di  lacerazione  del  tessuto  familiare,
sociale e lavorativo, che il solo  ingresso  in  carcere  solitamente
produce», «con il conseguente rischio di trasformare la  sostituzione
della  pena  pecuniaria  in  un  privilegio  per  i  soli  condannati
abbienti».